23.08.02 VOLO 102  ROYAL JORDAN AIRLINE. ROMA/AMMAN/DELHI

Ci ritroviamo tutti e sette (Francesca-Gioia-Gloria-Carlo-Domenico-Fabrizio-Mario) davanti al check-in del volo per le carte d’imbarco. Pesiamo i bagagli: in sette abbiamo kg.187, siamo in over di kg. 47 ma riusciamo a caricare tutto (bidoni con le tende, zaini e borsoni personali)  senza pagare extra, grazie anche all’intervento di Avventure nel Mondo. Partiamo. Stiamo volando da quasi due ore ed abbiamo appena finito di mangiare (ottimo pranzo!). Chiamano un medico per un passeggero che sta male ed interviene subito Fabrizio.Pare che abbia una lussazione al braccio ed il nostro bravo medico oltre ad una puntura d’antidolorifico non può fare altro. Per l’intervento sono regalate a Fabrizio due bottiglie di vino rosso. Grande Bussi questo viaggio inizia proprio bene!

Arriviamo ad Amman e troviamo subito la coincidenza per Delhi.  Cena buona e scalo a Dubai. L’aereo si svuota ed ora ci possiamo finalmente sdraiare.

24.08.02

Arriviamo a Delhi alle 06,30 (tre ore e mezza avanti nei confronti dell’Italia), siamo tutti eccitati e non ci sentiamo per nulla  provati dal viaggio. Al ritiro dei bagagli troviamo un borsone completamente lacerato (in effetti, era inevitabile visto che vi abbiamo messo dentro i  bastoncini telescopici senza coprire le punte). Noi per nulla stanchi iniziamo un’estenuante trattativa con l’impiegato indiano dell’assistenza. Riusciamo a spuntare $ 8! Iniziamo bene l’arte delle trattative in questo paese dove non se ne può fare a meno. In aeroporto troviamo il corrispondente di AM (State Express). Carichiamo i bagagli e facciamo l’ingresso in città su di un’auto che in Italia definiremmo storica, ed i bagagli?: caricati tutti insieme a piramide sul tetto di un’altra auto. Impatto incredibile con l’India. Traffico impazzito e strombazzante e mucche placide e sonnacchiose che attraversano tranquille la strada.Un turbinio di veicoli: autobus stracolmi, camion, vespe, autorikshaw, biciclette ed ai bordi della strada un fiume di persone. Tutti suonano tranne naturalmente le biciclette e le persone. Su tutto un caldo appiccicoso. Ragazzi siamo in India!

In giro tutto il giorno visitiamo: Old Delhi, la stazione, Jama Masjid. A cena andiamo a Connaught Place allo “United Coffee House”, la cena è ottima, mangiamo con gusto cibo indiano, spendiamo  in sette circa 2.500 Rs (una rupia vale circa 0,02 euro). Unico problema l’aria condizionata al massimo che a Domenico farà prendere una tosse che si porterà dietro per tutta il viaggio.

25.08.02

Sveglia alle 03,30. Alle 4 carichiamo i bagagli sul pulmino arrivato puntualissimo e via in aeroporto. L’organizzazione di AM funziona bene. Il check in è abbastanza veloce al contrario, delle procedure di imbarco che sono lentissime e con un controllo maniacale. Timbri a non finire e guai a saltarne uno, si torna indietro come nel gioco dell’oca. C’imbarchiamo. Aereo mezzo vuoto, ci danno un’ottima colazione e possiamo godere dai  finestrini  un panorama stupendo della catena  Himalayana. In poco più di un’ora siamo a Leh.

 In aeroporto ci aspetta il corrispondente di AM. Anche lui ci ha riservato un albergo ma noi preferiamo quello che abbiamo prenotato dall’Italia “Himalaya Hotel”. E’ una sistemazione un po’ spartana ma ci permette di risparmiare dei soldi. In giro subito per la città veniamo rapiti dalla diversità del luogo: la via dei fornai, dei sarti…cose semplici a cui, purtroppo, non siamo abituati.  Leh non è straordinaria ma ha un suo fascino. Ci accorgiamo subito che, pur essendo in India,  i tratti somatici delle persone sono diversi da quelli di Delhi; questa regione ha una sua identità forte, basti pensare alla religione. La componente buddista è maggioritaria. Giornata trascorsa senza impegnarci molto per via dell’acclimatamento; in ogni modo quasi a tutti gira un po’ la testa ed a Fabrizio gli fa anche male. Ceniamo in albergo (ottima cucina!) e poi a letto.

26.08.02

Sveglia alle 04,30 per andare a vedere i Gompa. Ho dormito malissimo ed in aggiunta ho un forte mal di testa. Partiamo in 5 (Gioia non ce l’ha fatta a svegliarsi presto ed al ritorno scopriremo che è stata male). Prima tappa il Gompa di Thiksey. Arriviamo all’alba per assistere alla preghiera del mattino. Bellissima. I monaci saranno una trentina da 5/6 anni ai 70. Mentre pregano fanno colazione ed i bambini monaci fanno a gara a chi è più lesto a servire il te. Ci offrono il loro te con burro di yak fermentato. Ci facciamo coraggio e lo beviamo: buono!

Le preghiere sono delle litanie ripetitive inframmezzate da suoni (campanelli e tamburi). La funzione sembra non avere nulla di sacro: i monaci adulti sbadigliano in continuazione ed i bambini si divertono e fanno a  gara a servire il te e nessuno li riprende. Andiamo via dopo più di due ore e ci fermiamo lungo la strada, sotto Thiksey, in un albergo/ristorante per un caffè. Continuo ad avere mal di testa e mi sento un po’ frastornato.Visita al Gompa di Matho, bello anche questo con una vista sulla valle mozzafiato. Carino per i colori ed i dipinti anche il Gompa di Stakna dove il nostro arrivo sembra indesiderato. Infatti, dopo un po’ arriva una personalità con scorta armata ed è ricevuto con riverenza. Per ultima visitiamo Shey e non lo troviamo eccezionale come i precedenti, forse siamo stanchi; in ogni modo è l’ultimo monastero in programma e si rientra a Leh dopo aver pranzato in un improponibile ristorante consigliato dalla guida!. Ci organizziamo per il giorno dopo e concordiamo due macchine per andare a visitare Lamayuru e dormire fuori una notte. Troviamo Gioia che sta meglio ma Fabrizio è strano. Io ora sto bene il mal di testa è sparito. Andiamo a cena al Dreamland (950 Rs circa) e non lo troviamo buono sia per il posto, troppo buio, sia per il cibo. Gioia e Fabrizio mangiano pochissimo, ci concediamo dei dolci alla German Bakery.

27.08.02

Mi sveglio abbastanza presto e mi sento bene. Decido di provare ad andare a correre ma dopo pochi metri, in salita, mi manca il fiato. Vado con passo svelto su al monastero di Leh (circa m.200 di dislivello). Arrivo in quindici minuti e ci trovo Domenico che sta facendo foto. Rientriamo per la colazione. Troviamo Gioia allarmatissima. Fabrizio è stato male tutta la notte!. Domenico, Francesca e Gloria vanno in  agenzia (K2 -ottima-) a rimandare la partenza per la Lamayuru mentre io, Carlo e Gioia decidiamo di portare Fabrizio in ospedale. Non ci sono medici è sciopero. Portiamo Fabrizio in un altro albergo più in basso del nostro ed arriva un medico privato chiamato dal nostro corrispondente. Fabrizio ha la pressione molto alta, gli sono prescritti dei diuretici e riposo assoluto. Per il medico, in ogni modo, non è necessario andare via da Leh. Tranquillizzati in quattro partiamo per Lamayuru; Carlo rimane ad assistere Gioia e Fabrizio. Ci muoviamo verso le 11 ed appena fuori Leh si apre un paesaggio lunare. Una distesa infinita di sassi contornata da montagne mozzafiato senza alberi,  purtroppo al loro posto ci sono un’infinità di basi militari. Ci rendiamo conto di stare in una zona di guerra infatti ecco il primo posto di blocco. Ci vengono richiesti i passaporti ed un militare registra con pignoleria i nostri nomi: Mario pass. n., Domenico pass. n. e così via. La strada diventa sempre più stretta ed esposta, siamo rapiti dal paesaggio e dalle scritte che a distanza regolare sono state verniciate su dei cippi di cemento. Sono strani e buffi avvertimenti per una guida prudente del tipo: Per salvare il tempo non buttare la tua vita!  Non dormire e non bere se vuoi rivedere tua moglie!….Francesca si diverti a scriverli su un quaderno, ne vuole fare un libro! Costeggiamo per buona parte il fiume Indo. Ad ogni incrocio di camion ci facciamo piccoli così da illuderci che la nostra macchina passi meglio. Lasciamo il fiume Indo e la strada inizia a salire in una strettissima gola. Finalmente arriviamo a Lamayuru e rimaniamo estasiati dalla bellezza del posto. Veniamo attorniati da una diecina di monaci bambini che stanno bevendo il te. Si fanno fotografare felici. Francesca ed Io ci commuoviamo pensando alla loro infanzia lontano dai genitori. Il monastero è bello e non smettiamo di fare foto. Ritorniamo indietro per la stessa  strada dell’andata e decidiamo di andare a dormire ad Alchi. Ci arriviamo al tramonto. Decidiamo per un alberghetto sulla sn prima di arrivare alla piazza centrale. Ceniamo bene e subito a letto dopo aver scrutato il cielo alla ricerca delle stelle cadenti.

28.08.02

Ci svegliamo di buon ora, stiamo tutti bene a parte Domenico con un po’ di raffreddore. Ottima colazione in albergo con il cameriere/padrone felice nella sua livrea (è un completo di pigiama, lo stesso della sera precedente). Paghiamo il conto (900 Rs per cena/pernotto/colazione) ed andiamo a visitare il monastero. Ci troviamo, a differenza degli altri gompa, un giovane monaco solo ed un po’ fricchettone; si presenta con una  bandana rossa in testa ed occhialetti da sole. Il posto merita una visita accurata per gli affreschi presenti nei templi. Molto antichi frutto  di due/tre scuole di pittura. Posto bellissimo! Costeggiando un muro del monastero si scende al fiume Indo che dimostra tutta la sua forza con delle belle rapide. Andiamo alla macchina a malincuore, il posto è bello e c’è un bel sole ma abbiamo altre cose da vedere. Ci rendiamo conto che continuiamo a fare foto in maniera pazzesca. Puntiamo su Ridzong. Ci si arriva a piedi dopo una bella camminata (mezz’ora circa a passo svelto) ma il posto merita. Il monastero si trova alla fine di una stretta gola. Bello e strano, i templi ci sono aperti da un monaco buffissimo (faccione rubicondo e camminata ciondolante) che alla fine per appagare la nostra curiosità ci fa visitare la cucina (primitiva, spartana al massimo e sporca). Di seguito visitiamo Likir (fa freddo) ed alla fine Basgo che ci rapisce con le sue rovine. Rientriamo a Leh verso le 18 ed apprendiamo che Gioia e Fabrizio sono rientrati a Delhi. Ci dispiace. Andiamo a cena al Tibetan Kitchen, mangiamo veramente bene e spendiamo 900 Rs circa. A cena Carlo ci racconta di Fabrizio e della pressione alta che l’ha costretto a rientrare. Noi stiamo tutti bene e sembra che oramai ci siamo completamente acclimatati. In ogni caso, decidiamo di spostare la partenza del trekking  di un giorno ed andiamo a letto.

29.08.02

A colazione ci raggiunge la telefonata di Fabrizio da Delhi, sta molto meglio e probabilmente si uniranno ad un gruppo di AM in arrivo domani a Delhi per fare un trekking in Nepal. Questo ci fa felici ed usciamo per Leh contenti. Facciamo un po’ di spese ed organizziamo le ultime cose per il trekking. Prepariamo i bagagli ed andiamo a cena al Tibetan Kitchen, al secondo piano di un palazzo a Main Street. Non mangiamo bene.

30.08.02

Partiamo presto. Ci vengono a prendere con i fuoristrada e ci portano subito dopo Spituk dove carichiamo i cavalli. Inizia il trekking, la prima parte è abbastanza monotona e fa molto caldo. Attraversiamo una distesa immensa di sassi. Distanziamo di molto i cavalli. Alle 13 ci fermiamo per il pranzo ed incuriositi apriamo i nostri lunch box: frittella, patata lessa, uovo sodo, formaggino, biscotti, una piccola cioccolata, un frutto ed un succo di frutta. Sarà così per nove giorni: la razione k per il pranzo. Mangiamo con appetito e veniamo raggiunti dai cavalli stracarichi, ci distanzieranno e di parecchio. Ora il paesaggio è cambiato con l’entrata in una gola. Si costeggia un fiume ed il posto è molto bello. Arriviamo al campo (Zhingchan) e troviamo un bel te caldo con biscotti ad attenderci, sarà il nostro appuntamento fisso e tanto desiderato ad ogni arrivo ai campi sosta. Montiamo le tende, ci laviamo ed a cena. Cena squisita (oramai mangiamo ed apprezziamo tutti i cibi indiani) e per festeggiare apriamo una delle due bottiglie di vino regalate a Fabrizio sull’aereo. Brindiamo con i nostri amici indiani (beve alcol, così affermano, solo il cuoco nepalese) all’inizio del trekking. Andiamo a dormire alle 20,30 ma prima Gloria ci legge a voce alta un capitolo dei “I vagabondi del Dharma” di Kerouac. La bella voce di Gloria  ci farà ogni sera da ninna-nanna.

31.08.02

Ci svegliamo presto. Io non ho dormito molto, così almeno mi sembra ma in compenso nel mio nuovo sacco a pelo (Ferrino High Lab 20) sono stato caldissimo. Stiamo tutti bene e l’altitudine non sembra darci problemi. Facciamo colazione, smontiamo le tende e partiamo presto. Il paesaggio è bellissimo. Ci infiliamo in una stretta gola e guadiamo, con dei salti, più volte un piccolo fiume. Arriviamo verso le 11 in una radura, Rumbak, dai colori bellissimi con tante piccole terrazze coltivate ad orzo. C’è una tenda dove una famiglia ladakha ci fa del te e ci offre dello yogurt. Ho un attimo di esitazione ma poi lo assaggio, mi seguiranno gli altri e lo troviamo buono. Oramai abbiamo abolito tutte le barriere di prevenzione sui cibi e bevande a parte l’acqua. Ci colpiscono le facce di queste persone. Sembrano avere una serenità interiore a noi sconosciuta. Forse è la loro semplicità di vita che li rende così diversi da noi. Si accontentano di quello che hanno e vivono sereni. Esco a fare delle foto. C’è una famiglia di contadini che sta mietendo: in ginocchio, con le mani nude strappano le piante dal terreno ed in piccoli fasci le ripongono alle loro spalle. Faccio degli scatti e loro mi sorridono. Mi giro, mi accuccio con davanti a me delle montagne immense e scoppio in un pianto liberatorio. Sembra impossibile fare i lavori agricoli ancora in quella maniera ed essere felici. Mi sento veramente distante nel mio benessere. Pago il te, compriamo dei biscotti e ci rimettiamo in marcia. Inizia a piovere, il sentiero sale sempre di più ed oltrepassiamo i 4000 metri. Divoriamo il pranzo. Ora la pioggia si tramuta  in grandine l’altitudine inizia a farsi sentire i passi sono lenti ma regolari. Arriviamo al campo (Yurutse – m.4295), montiamo le tende sotto l’acqua poi improvvisamente il tempo cambia, esce il sole e ci stendiamo sui materassini ad asciugarci felici aspettando la cena. Nell’attesa proviamo il satellitare, che invano Fabrizio a Leh ha cercato di usare. Telefoniamo in Italia a Laura, funziona!! Le mandiamo un mare di baci da 4300 metri. Gli indiani stupiti ci guardano increduli. Facciamo provare anche a loro, sono sfortunati a casa loro non risponde nessuno. Promettiamo loro di farli riprovare nei prossimi giorni. Ceniamo ottimamente ed oltre la lettura prendiamo l’abitudine di misurarci la pressione ed i battiti del cuore che diligentemente Carlo scrive sul suo quaderno, poi tutti a letto.

01.09.02

Ci svegliamo presto (6,30) colazione con degli ottimi pancakes, mangiamo con appetito e stiamo tutti bene. Si parte per il passo Kanda La (4870 m.). Andiamo avanti lentamente facendo piccole soste. Avvertiamo qualche problema e rallentiamo ulteriormente. A 4700 m. ci fermiamo a mangiare della cioccolata che io ho portato dall’Italia, scarichiamo Francesca da un po’ di peso e ci sacrifichiamo Carlo ed io. Siamo al passo. La vista è magnifica e spazia a 360 gradi sulla catena dell’Himalaya. Insieme alla guida ed ai cavallanti, mettiamo le bandierine di preghiera, foto di rito ed iniziamo la discesa. Ci sono da fare 1300 m. di dislivello attraverso una strettissima gola con rocce di un colore rosso intenso. Il percorso è lungo. Pausa per il pranzo e poi subito in marcia. La nostra guida Ando ha un passo sostenuto e si capisce che ha fretta di arrivare alla sosta. Arriviamo a Skyu (m.3395) alle 16,30 e rimaniamo sbalorditi dalla bellezza del posto. Montiamo le tende su un prato a ridosso del fiume e ci facciamo un bel bagno rinfrescante. L’acqua è gelida! Ma in compenso ci asciughiamo velocemente con i nostri accappatoi spaziali (minimo ingombro/grande assorbimento). Prima della cena andiamo a visitare il piccolo gompa. Il monastero si  trova su uno sperone di roccia, da una parte domina il nostro accampamento dall’altra una  lussureggiante vallata attorniata da delle montagne altissime, la maggior parte di esse imbiancate. C’e’ soltanto un monaco, molto giovane, che gestisce da solo il monastero. Torna a casa una volta a settimana, prendendo un autobus che passa su una strada a tre ore di cammino. La sera mangiamo divinamente ed alla fine c’è una sorpresa: il dolce! Ci ricordiamo che oggi è domenica. Apriamo la bottiglia di rum e ne beviamo piccolissimi sorsi, il resto lo lasciamo ai nostri amici indiani ; ci penseranno loro a farlo fuori, infatti,  la mattina dopo si sveglieranno tardi e con gli occhi pesti. A letto dopo aver guardato le stelle, misurati i battiti e la dolce lettura di un capitolo di Kerouac.

02.09.02

Partiamo a malincuore da Skyu, questo posto merita almeno la sosta di un giorno Costeggiamo per tutta la giornata il fiume Markha in uno scenario da film western, sembra di stare al Gran Canyon e scattiamo foto in continuazione. Apre la strada una signora locale che si e’ unita a noi per un tratto del cammino e che va a Markha a fare spesa, il suo passo è così veloce che spesso si deve fermare per aspettarci. Quasi alla fine della tappa c’è il primo vero guado. Si rivela più facile del previsto, non c’è molta acqua nel fiume. Andiamo avanti io e Gloria, giunti quasi alla vista del campo improvvisamente ci sbarra la strada un uomo steso per terra. Ci spaventiamo inutilmente, è solo ubriaco. Finalmente al campo; abituati alla bellezza di Skyu rimaniamo delusi. Ci rifacciamo con una visita ad una casa locale con una bellissima cucina. Ci offrono del te salato con il burro di yak (ci siamo abituati, ci piace, e’ buono) e formaggio, sono simpatici. A cena e questa volta il cuoco ci ha preparato una cena in stile italiano: pizza, pasta e verdure tricolori. Il nostro cuoco nepalese è proprio in gamba. I soliti riti prima di andare a letto e poi in tenda a dormire.

03.09.02

Partiamo con la pioggia costeggiando il fiume ed il paesaggio è sempre bellissimo. Questa volta ci accompagna un monaco e sia io che gli altri sembriamo ridicoli nei suoi confronti per come siamo vestiti. Lui indossa una semplice tunica rossa con un maglione ed ai piedi dei sandali di plastica noi, invece, vestiti tecnici. Facciamo due guadi, non difficili ma con un’acqua gelida. Ci fermiamo per il pranzo sotto una tenda dove ci servono del te. Il tempo si rimette al bello. Saliamo ed arriviamo ad Hangar un minuscolo villaggio in un paesaggio da fiaba. Regaliamo un po’ di frutta ai due bambini che ci vengono incontro. Si prosegue e dopo aver fatto gli ultimi 400 m. di dislivello arriviamo a Thachungse (m.4235). Troviamo, per la prima volta, il campo un po’ affollato -ci sono 5/6 tende- e ci spiega la nostra guida che probabilmente visto il  cattivo tempo non si sono mossi. Ci laviamo alla meglio nel fiume ma nessuno di noi osa fare il bagno: l’acqua è gelida. L’altezza si fa sentire, io ho dei giramenti di testa.

04.09.02

Ci svegliamo con un gran freddo. Colazione ed ognuno di noi va alla ricerca del masso giusto. Non c’è bagno ladakho e bisogna arrangiarsi. Si parte per il campo base del Kang Yaze. Camminiamo piano, la tappa è breve ma si rivelerà eccezionale, forse la più bella. Arriviamo  in una radura, dove, vicino a dei ruderi, che scopriremo essere case (costruzioni con recinti fatti entrambi con pietre accatastate), ci sono delle donne stese per terra a lavorare. In pratica stanno facendo a lista del formaggio fresco, stendendolo al sole, su delle coperte, per farlo seccare. Insieme a loro ci sono due bambine che cercano di imparare. È una scena molto bella. Offriamo alle bambine frutta e cioccolata; le signore ci fanno assaggiare il formaggio. Lo mangeremo tutti. Facciamo foto, tante foto. Veniamo invitati in casa a bere del te. La casa ( un cumulo di sassi ) molto bassa, è composta di tanti piccoli ambienti con al centro una stufa. Il tetto è ricoperto da sterco di yak messo ad essiccare, serve da combustibili, qui la legna non esiste, non essendoci alberi.  Ci viene offerto del te. È sconvolgente la semplicità e la dignità di queste persone, ne siamo rapiti. Ci accorgiamo che dalla mattina stiamo scattando foto in continuazione e come al solito non riusciamo a fermarci. Sarebbe bello rimanere lì a dormire per assistere al rientro degli animali e alla loro mungitura. Non è possibile dobbiamo andare. Cerchiamo di pagare il te: la contadina quasi si offende. Arriviamo al campo base (m.4938) e montiamo le tende; fa freddo. Il giorno dopo ci aspetta la scalata alla antecima del Kang Yaze (m.6090) , rivediamo il materiale e la via di salita, a cena e poi a letto presto. Decidiamo di alzarci alle 03,30 per tentare la vetta.. Fa un gran freddo e non riesco a prendere sonno.

05.09.02

Mi sveglio male ed in ritardo, mi vesto di corsa, salto la colazione (il cuoco si è svegliato pure lui prestissimo), mi unisco a Carlo e Domenico ed insieme partiamo poco dopo le 5:00 per la scalata. Fa freddissimo e la prima parte del percorso è sfiancante tra grossi sassi coperti di ghiaccio. Salgo con difficoltà, ma non per il fiato. Mi sento strano ed impacciato nei movimenti: non sono per nulla agile come mio solito. Dopo quasi tre ore decido di tornare indietro ed a nulla valgono gli incitamenti dei miei compagni. Li saluto, ho deciso di rientrare. Arrivo al campo verso le nove. Tutto il gruppo mi viene incontro chiedendomi cosa è successo. “Nulla! Non ce l’ho fatta” (Soffro enormemente). Mangio qualcosa e smontiamo le tende. I cavallanti vanno via; rimane Ando ed insieme alle ragazze scrutiamo la salita di Carlo e Domenico. Li vediamo salire tutto il giorno, c’ è una buona visibilità ed il cielo è pulito. Quando, sono circa le 13, quasi in cima iniziano a scendere. Ci muoviamo anche noi; stando fermi fa un freddo micidiale. Ando c’indica la strada per il campo, ci dice di avvisare gli altri affinché mandino indietro due cavalli per i nostri amici. Lui rimane lì ad aspettare Carlo e Domenico e questo ci tranquillizza. Arriviamo al campo (Nymaling, m.4790) in un’ora e mezza, diciamo dei cavalli e io mi butto in tenda, non mi sento bene. Sprofondo in un sonno profondo. Mi sveglio richiamato da un vocio. Carlo e Domenico sono rientrati sui cavalli, è tutto ok. Ceniamo, parliamo poco ed andiamo subito a letto. Sarà la notte più fredda in assoluto.

 06.9.02

Ci svegliamo con il ghiaccio in tenda (la nostra condensa). Facciamo colazione, appena riscaldati dal sole che è spuntato dalla montagna. Smontiamo le tende e, velocissimi, prepariamo i bagagli (è un rito che oramai si ripete da sette giorni). Partiamo per il passo Gongmaru La (m.5.130). Andiamo su abbastanza bene, solo Francesca ha bisogno del cavallo per via della colazione abbondante (questa mattina i pancakes erano più buoni del solito). Al passo ci fermiamo e lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è stupefacente. Visibilità perfetta con lo sguardo che spazia a 360 gradi sulla catena Himalayana; riusciamo perfino a vedere, in lontananza, il K2. Mangiamo un po’ di parmigiano ed iniziamo la discesa. Scendiamo per una strettissima gola di un colore rosso intenso guadando, infinite volte, a piccoli saltelli un ruscello. Ruscello che alla fine della giornata diventerà un fiume, costringendoci a  guadi sempre più complicati. Il paesaggio è molto bello. Questa Markha Valley non smette di stupirci. Arriviamo esausti a Churskyumo che è l’ultima tappa di questo trekking, il posto non è meraviglioso come i precedenti, anzi lascia un po’ a desiderare, in pratica è uno stazzo per cavalli e mucche. Oramai siamo diventati esigenti, abituati come siamo a trovare posti sempre più belli. Ci laviamo nel fiume e siamo pronti per la cena. L’ultima con i nostri amici indiani.

07.9.02        

Sveglia molto presto non tanto per la lunghezza del percorso ma in quanto questo permetterà ai cavalli di ritornare al punto di partenza del trekking prima della fine del giorno. Colazione con gli ultimi squisiti pancakes e c’infiliamo nella gola che man mano si allarga sempre di più. Siamo alla fine del trekking. Il paesaggio è sempre più contaminato da presenze umane: strada, fili della luce, autobus (uno!). Alle 11 arriviamo ad un villaggio Shang Sumdo: fine. Salutiamo i nostri amici indiani, regaliamo una mancia di 500 rs (forse si aspettavano qualcosa in più), saliamo sulla macchina che ci aspettava e rientriamo a Leh passando per il monastero di Hemis. A Leh  scopriamo che il festival è già finito (doveva durare tutto settembre). Facciamo un gran bucato e poi passiamo in agenzia per restituire il materiale prestato. Presi dalla voglia di non fermarci decidiamo, per il giorno dopo, di partire per 2/3 giorni in Nubra Valley. Ceniamo al Tibetan Kichen. Ottima cena, mangiamo tanto e bene e spendiamo circa 950 rs. A cena prendiamo gli ultimi accordi per il viaggio in Nubra.

08.9.02

Partiamo per la Nubra verso le 11. Felici, ci troviamo di nuovo in marcia (non sono passate neanche 24 ore da quando siamo tornati a Leh),  questa volta, però, abbiamo optato per un tour in  macchina. Siamo tutti eccitati poiché per arrivare in  Nubra dobbiamo superare il passo più alto del mondo, Khardung La a 5600 m. La strada è tutta una sequenza di tornanti ed arrivati sopra i 4000 m. inizia a nevicare. Dopo un po’ ci fermano, il passo è bloccato dalla neve e bisogna tornare indietro. Rientriamo in albergo e pranziamo con le provviste fatte per il viaggio: pane, formaggio fresco (ottimo comprato al mercato di Leh) e pomodori. Dedichiamo il pomeriggio allo shopping e la sera ceniamo al Summer Harvest (cena discreta, nulla d’eccezionale).

09.9.02

Ripartiamo per la Nubra verso le 10,30, dopo aver visitato il centro dell’Alleanza delle Donne.Qui compriamo una cassetta/documentario del Ladakh (ci sarà spedita a Roma addirittura doppiata in italiano!). Questa volta il passo è libero, la neve c’è ma non tantissima. Inizia la discesa verso la Nubra. Ci fermiamo per uno spuntino su un prato dove, quasi alla fine, veniamo letteralmente assaliti dagli indiani. Dalla montagna un gruppo compatto di persone punta su di noi correndo ed urlando. Sono dei giovanissimi soldati e l’oggetto da conquistare siamo noi per le loro foto ricordo. Il solo fatto d’essere stranieri, in questo posto, ci rende preziosi. La loro semplicità, pur con la divisa mimetica, è incredibile. Sono felici di vedere dei turisti da queste parti e di farsi fotografare con loro. Ci chiediamo quale possa essere il motivo della contesa di queste sperdute e desolate montagne, tanto da tenere miglia e migliaia d’uomini -con le loro basi- in questi posti a soffrire il freddo, alterando in maniera profonda l’ecosistema di queste regioni. Proseguiamo e la discesa verso la Nubra, e’ magnifica. Il paesaggio è unico per ambiente e colori. Una serie impressionante di calanchi si susseguono costeggiati dalla nostra strada su strapiombi mozzafiato. Arrivati in valle al primo villaggio (Khalsar) ci fermiamo per un te e per pagare la tassa d’ingresso; le foto scattate in questo posto non renderanno mai la desolazione che vi regna! Proseguiamo puntando su Hunder, il paesaggio è unico: fiume-deserto-montagne innevate. A Hunder non troviamo da dormire o meglio rimaniamo delusi dal posto e ripieghiamo su un alberghetto (Hogat Hotel) a Diskydo al prezzo di 1.250 rs per cena, due camere e colazione. La cena è buona ma le razioni sono scarse non avendo prenotato.

10.9.02

A colazione non riusciamo a comunicare bene con i proprietari: non sono riuscito a farmi portare caffè e latte separati ed anche gli altri non sono da meno. Saliamo, in macchina, al Gompa ma troviamo dei monaci poco affabili, peccato! Il posto è molto bello e suggestivo, arroccato com’è su uno sperone di roccia. Convinti da Francesca andiamo alla ricerca di cibo, non riusciamo a trovare né del pane e né del formaggio ma solo biscotti in una polverosa bakery: biscotti al cacao con nocciole, una torta con dei semini sopra e biscotti secchi. Tutti i dolci ci vengono gentilmente e diligentemente incartati nel giornale e noi ne siamo felici; oramai siamo più che vaccinati, abbiamo dei sani anticorpi indiani nella pancia! Troveremo questi dolci squisiti! Ripartiamo rifacendo a ritroso la strada del giorno prima per andare a visitare l’altro ramo della Nubra. Lungo la strada, visto come sono andate le cose la sera precedente, con calma cerchiamo di trovare l’albergo per dormire e cenare. Lo troviamo a Sumur al Galaxy  (spartano ma decente) e prenotiamo. Prima di andare a Paramik decidiamo, senza molta convinzione di andare a visitare il gompa di Sumur. Esternamente non ci dice nulla, una buona parte è in restauro e un’ala viene tirata su nuova. Ci attirano dei canti/preghiere che vengono da una sala e con rispetto ci fermiamo sulla soglia ad ascoltare. Veniamo invitati ad entrare e prendiamo posto in un angolo. Deve essere una cerimonia importante giacché i monaci indossano degli abiti particolari e non c’è  presenza di monaci bambini. Assistiamo rapiti, alle loro preghiere e alla distribuzione del pasto. Pasto che viene servito anche a noi e lo troviamo buonissimo: riso, lenticchie, cavoli ed il te con il burro di yak. Nel frattempo i monaci mangiano,  pregano e sbadigliano. Le loro funzioni religiose sono molto distanti dalle nostre, scevre come sono dalla sacralità cui siamo abituati. Ci accorgiamo che sono quasi due ore che ci troviamo, seduti a cavalcioni, ad assistere a questa funzione e non siamo per nulla stanchi. Finita la cerimonia visitiamo la sala e vediamo il primo ed unico mandala di questo viaggio. Bellissimo! E’ realizzata con polvere di pietra colorata. Andiamo via e con una grossa ricchezza interiore. Chiedo di pagare il biglietto, come in tutti gli altri gompa, ma qui non si paga biglietto. Se si vuole c’è la cassetta delle offerte, lasciamo volentieri 100 rs.  Siamo contenti e felici di aver preso parte a questa cerimonia, cerimonia che da sola è valsa sicuramente il viaggio in Nubra. Risaliamo in macchina e puntiamo alle terme di Paramik. Ci arriviamo dopo più di un’ora ed il paesaggio è veramente desolante con la sensazione vera di essere usciti dal mondo, stiamo uscendo dal mondo!! Le terme sono misere ed i militari, come citato dalla guida, stanno facendo il bucato. Mentre  ci avviciniamo udiamo distintamente quattro colpi di mortaio o cannone. Non succede nulla ma l’impressione di essere arrivati alla fine è netta.   Ritorniamo indietro, oltre non si può andare è zona proibita. Arriviamo al nostro albergo di Sumur per la cena, abbondante, a base di riso e verdure. Ci beviamo della birra locale già assaggiata in precedenza “God Father”, la sua bontà sta tutta nel nome..  Scrutiamo il cielo, leggiamo un po’ e poi tutti a letto.

11.09.02

Ci svegliamo presto e, con Carlo e Domenico, usciamo per scoprire il paese all’alba. Alba per noi ma non per i locali che sono già in movimento. Piccoli uomini e donne trasportano sulle spalle enormi covoni di frumento: vanno e vengono da tutte le direzioni. Non riusciamo a scoprire se portano il frumento in un unico posto per trebbiarlo o in depositi. Mistero! Comunque il villaggio è verdissimo, c’è acqua da tutte le parti con ruscelli che scorrono ai bordi dei sentieri. Posto delizioso. Rientriamo, le ragazze si sono svegliate anche loro e facciamo colazione. Semplice ma abbondante ed abbiamo oltre alle focaccine fatte sul momento anche lo yogurt. Paghiamo il conto: 500 rs per cena/dormire/colazione. Siamo sconcertati e mi pento di aver trattato, il giorno prima, sul prezzo delle stanze. Rientriamo a Leh facendo fermare più volte il nostro autista per ammirare meglio questa valle stupenda. A Leh saldiamo il conto del tour direttamente all’agenzia e prendiamo accordi per l’indomani, giorno della partenza per New Delhi. In città per le ultime compere. Io passo all’associazione delle donne e lascio degli indumenti e le medicine. Il resto del gruppo lascerà le medicine all’autista con la promessa di portarle in ospedale. A cena sempre al Tibetan Kitchen (il migliore di Leh). Mangiamo tantissimo presi dalla frenesia di assaggiare tutto, spendiamo 1300 rs. In albergo saldo il conto delle stanze più gli extra: paghiamo per tre stanze/cinque notti 6600 rs. Ci siamo permessi il lusso di tenere le stanze anche per le notti che siamo stati fuori. Ognuno a fare i bagagli e poi a letto.

12.09.02

Sveglia alle 5, il taxi è in ritardo e questo ci mette in agitazione. Arriviamo in aeroporto alle 6,15 e troviamo una fila interminabile di militari che si devono imbarcare. Per fortuna noi passiamo avanti ai militari, ma finisce qui. Iniziano controlli estenuanti e cavillosi. Misure di sicurezza eccezionali. Via le batterie da tutti gli oggetti, macchine fotografiche comprese, ingurgitare una pasticca, bere l’acqua della borraccia e spalmarsi le pomate sotto gli occhi della polizia per dimostrare che non si tratta di sostanze proibite. I bagagli sono controllati e riscontrati infinite volte. Finalmente c’imbarchiamo e decolliamo. Viene servita la colazione, all’indiana naturalmente!, buona (migliore all’andata sul volo della Indian  Airlines mentre ora voliamo con la Jet Airways). Sicuramente in questo viaggio il cibo ha un ruolo importante, probabilmente dovuto in buona parte al timore che avevamo prima della partenza. Sapevamo ed abbiamo avuto conferma delle condizioni igieniche di questo paese per noi occidentali disastrose. Infatti sull’acqua non abbiamo mai abbassato la guardia. ABBIAMO BEVUTO ACQUA SEMPRE BOLLITA O IN BOTTIGLIA SIGILLATA. Ma il cibo è stata la vera scoperta: non ci siamo fatti intimorire da fobie e paure, precludendoci  la conoscenza di una componente essenziale della vita di questo paese. Abbiamo sempre mangiato con gusto, andando alla ricerca dei cibi più caratteristici e particolari e sicuramente, anche questo, ha contribuito ad unire il nostro spirito di gruppo.  Arriviamo a Delhi in orario, dopo un’ora, alle 8,30 ed il tempo di scendere dall’aereo che i bagagli sono già arrivati. Quando vogliono questi indiani sanno essere veloci. In aeroporto troviamo il corrispondente di AM che con due macchine ci porta in albergo: Marina Hotel a Connaught Circus. Abbiamo scelto questo albergo suggeritoci da AM un po’ caro ($25 a persona) ma è pulito e le stanze sono molto ampie. Sta piovendo, anzi diluviando, sono gli ultimi tardivi scampoli di pioggia monsonica, ma gli indiani  non ci fanno caso, camminano tranquilli senza ombrelli e senza scarpe! Grazie alle insistenze di Francesca, sono quasi le 12, ci viene servita in camera una sontuosa colazione, dato che il secondo giorno non la potremo fare (partiremo alle 3 di mattina) e così per il pranzo siamo a posto. Parlo un po’ con Carlo di questo viaggio e ci confessiamo il reciproco entusiasmo, ma questo già lo avevamo ampiamente confessato tutti; invece viene fuori lo stupore di come siamo stati bene tra noi nonostante le differenze, i caratteri forti ed i molti difetti di ognuno. Non abbiamo mai litigato, né avuto scatti di rabbia e quello che è più importante ci siamo accettati. Eppure momenti difficili ce ne sono stati; nonostante il suo fascino, è stato un viaggio impegnativo. L’India è un paese difficile e l’Himalaya non è da meno: per la cultura, per il clima, per l’altitudine, per i cibi, per il lungo percorso del trekking, per tutto quello che si vede che è completamente al di fuori dei nostri parametri di vita. Questo viaggio, quest’esperienza ci lascerà il segno. Usciamo che diluvia ancora. Decidiamo di andare a visitare il Museo Nazionale; enorme peccato che abbiamo solo due ore a disposizione prima della chiusura, merita sicuramente più tempo. Ritorniamo in albergo sotto la pioggia. A cena ritorniamo al United Coffee House (Connaught Place) ben coperti, memori dell’aria condizionata sparata al massimo. Facciamo troppe ordinazioni e non finiamo tutto, il conto è di 1900 rs. In albergo, lettura di un capitolo con la bellissima voce di Gloria (scusa se non l’ho detto prima!) e poi a letto.

13.09.02

Mi sveglio un po’ prima degli altri (7,30), piove ancora ma  con minore intensità del giorno prima. Vado a fare colazione, gli altri mi raggiungono e decidiamo sul da farsi. Optiamo per un giro della città in taxi. Francesca ed io andiamo a trattare e ci accordiamo per un mini-pulmino a nostra disposizione per otto ore a 550 rs, alla faccia dell’agenzia dell’albergo che ci aveva chiesto 1500 rs. Prima tappa al Forte Rosso dove superato un primo muro di venditori ambulanti c’imbattiamo in un venditore di barbe finte. Ne acquisto una, dopo una colorita trattativa cui partecipano un gruppo di indiani curiosi. La curiosità negli indiani credo che sia una loro dote innata. Ti fissano e stanno lì a guardarti immobili qualsiasi cosa tu faccia. Mi era già capitato a Leh all’ufficio postale dove, dopo aver comprato dei francobolli, mi sono messo da parte per incollarli alle cartoline. Mi sono ritrovato con sei occhi addosso, vicinissimi, a scrutare ogni mio movimento; ho riposto tutto nello zaino e sono andato via. Visitiamo il forte con una guida ed una scia di indiani curiosi che ci segue, noi con gli ombrelli e loro tranquilli sotto la pioggia. Capiamo poco di quello che dice la guida anche se parla lentamente, invece sfodera tutta la sua velocità una volta presa la mancia (richieste espressamente 100 rs) per sparire. Risaliamo sul taxi e per non smentirci decidiamo di mangiare qualcosa. Gloria ci porta in un’enorme tavola calda (Nathu’s Sweets- Bengali Market) dove sono serviti un’infinità di piatti dall’aspetto interessante e soprattutto buonissimi con ottimi prezzi per la gioia di tutti ed in primis di Francesca. Risaliamo sul taxi, ora piove di meno, e puntiamo su Qutb Minar. Attraversiamo quasi tutta Delhi in un traffico caotico. Credo nessuno di noi sarebbe in grado di guidare in questa città. Al parcheggio di Qutb Minar veniamo assaliti da non so quanti venditori ambulanti e per 10 minuti non riusciamo a liberarci. Decidiamo di entrare, dopo un po’ di perplessità, dato il prezzo a persona $5. Rimaniamo sbalorditi: il posto è stupendo, di una bellezza unica; scattiamo una marea di foto grazie anche alla pioggia che ha smesso. Rientriamo in albergo e ci riuniamo a Gioia e Fabrizio appena rientrati dal Nepal. Tutti insieme a cena a Gulati Restaurant (niente di eccezionale ed anche caro 2300 rs in sette) a raccontarci le reciproche esperienze.

14.09.02

Sveglia alle 2,30 (dobbiamo essere in aeroporto alle 3,30). Carichiamo i bagagli sul pulmino, puntualissimo, ed alle 3 partiamo per l’aeroporto. Attraversiamo una Delhi surreale in confronto a come l’abbiamo vista di giorno. Le strade ora sono deserte ma ai lati è un dormitorio a cielo aperto. La gente dorme ovunque: sdraiata per terra o sui risciò, per i più fortunati, visto che posseggono qualcosa. La strada è la casa, il lavoro, la vita. Triste ed intensa questa immagine di Delhi di notte come immensa è la distanza che sento da questo mondo. Un camion è fermo in mezzo alla strada, lo stanno riparando, al posto del triangolo un cumulo di sassi. All’aeroporto, sono quasi le 4, c’è una lunga fila per entrare, le misure di sicurezza sono estenuanti e lentissime. Una volta entrati andiamo al check in della Royal Jordanian. Ci fanno storie per il bagaglio in eccesso, dobbiamo pagare parecchi soldi. Francesca fa una lunga trattativa con il capo-scalo e la spunta. Brava! Il volo parte puntuale e l’aereo è pieno, non possiamo sdraiarci per dormire. Arriviamo, sfruttando il fuso orario, ad Amman nella mattinata e ci portano subito in albergo (Alia Hotel) vicino all’aeroporto. Decidiamo subito di andare a fare il bagno al Mar Morto. Affittiamo dei taxi ($10 a persona) e via. E’ incredibile come scende all’improvviso la strada nella depressione. Il paesaggio è arido ma lungo la strada ci sono dei contadini che vendono ortaggi. Facciamo il bagno, sensazione unica, sembriamo tante papere in acqua. Per la grande concentrazione salina non si riesce neanche a nuotare. Fa un caldo micidiale e dopo due ore ritorniamo in albergo. Pranziamo (è tutto pagato dalla Jordanian) e concordiamo di vederci più tardi per andare a visitare Amman. Sembra che la carica non ci finisca mai. Alle 18 ci ritroviamo nuovamente in cinque, Gioia e Fabrizio non si fanno vedere. Affittiamo un taxi dopo una piccola trattativa e via. L’autista è simpatico e disponibile e ne siamo contenti. La stanchezza non ci tocca, abbiamo dentro di noi una energia che ci porta sempre più avanti. Visita alla parte antica di Amman con dei resti romani, meravigliosi alla luce del tramonto. Come meraviglioso è il teatro romano, conservato benissimo, che incredibilmente ci viene aperto solo per noi dal custode: stava li’ fuori a parlare con i suoi amici, ci ha visto passare e si e’ offerto di farci entrare nel teatro e di accompagnarci nella visita. Siamo stupiti per le strane ed inaspettate situazioni che ci capitano. Passeggiamo nella parte vecchia della città ed arriviamo al mercato della frutta. E’ ancora aperto ed è una cascata di profumi, suoni, colori. Ci offrono della frutta e siamo sempre più piacevolmente sorpresi. Rimaniamo affascinati da questa città. Ci concediamo una sosta in un caffè e fumiamo il narghilè. Facciamo piacevolmente tardi, ci stiamo divertendo. Decidiamo di mangiare fuori e ci facciamo consigliare dal proprietario del bar. Ci indica un posto lì vicino. Bettola di indigeni che si rivela eccezionale. Mangiamo una diversità incredibile di piatti: felafel, humus, mansaf…. Spendiamo veramente poco, non più di $2 a testa. Siamo felici, non potevamo chiudere nel modo migliore questa vacanza. Il taxi ci aspetta come concordato ed a mezzanotte siamo in albergo.

Buonanotte! Domani rientriamo in Italia!!

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 Mario Canitano

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