YAMA: Gran Paradiso 2003 The EndLunedi 16 giugno ’03 ore 01.00, La Rustica Parcheggio della Metro, Roma Eccoci di nuovo al parcheggio della Metro; è Lunedi mattina (molto mattina), con un grande senso di pena pensiamo che tra qualche ora saremo in ufficio; io ho provato ad ammalarmi di influenza mettendo l’aria condizionata della macchina a palla, ma i miei compagni di scarpinata non intendono marcare visita (forse è per questo che hanno cercato di mantenere sempre all’interno dell’abitacolo una temperatura di 45° con tasso di umidità del 90% ???) Sembra passata una settimana dalla ns partenza, invece sono passate solo 42 ore….
Il viaggioCarlo aveva detto che non sarebbe stata una scalata stile “mordi e fuggi” come quella dell’anno scorso al monte rosa; in effetti questa al GRAN PARADISO è stata una cosa in stile “fuggi e fuggi”. Unico momento di relax la breve sosta (3 ore !!!) al negozio di attrezzatura da montegna di Aosta. Mentre Carlo ed Ulisse si cimentano in un defilè per lo stilista ASOLO, sfoggiando vari modelli di scarponi, noi gironzoliamo nel negozio comprando qualche cosa per ingannare l’attesa (spesa totale un centinaio di euro; laura vuole comprare una “frontale”, ma la commessa inesperta si spaventa e pensa subito ad un incidente automobilistico); dopo due ore e mezza iniziamo a sospettare la truffa: l’obiettivo vero non è la montagna, ma l’acquisto degli scarponi da montagna ? Finalmente si riparte. Appena iniziamo a percorrere in macchina la strada che si incunea nella valsavaranche (che io scopro quindi non essere solo una piazza del quartiere montesacro a roma) l’equipaggio inizia ad avvertire i sintomi del mal d’auto (qualcuno inizia a somatizzare e pensa di essere stato colpito dal mal di montagna alla rispettabilissima quota di 950 m slm); per combattere la nausea, laura ci consiglia di mangiare i pavesini per “fermare” lo stomaco: la cosa però non funziona; gli odiatissimi biscotti si rivelano essere delle bolle d’aria rivestite di un sottile strato di farina che ci causeranno l’indomani, al superamento dei 3500 mt di quota, imbarazzanti problemi di meteorismo intestinale. L’ascesa – Atto Primoda Pont al Rifugio Vittorio Emanuele, dislivello
circa 770 m. Eccoci a Pont alla base del ripido sentiero che porta a piedi al rifugio Vittorio Emanuele (dedicato non a me, ma bensì al + famoso reale di savoia). Caldo torrido e conseguente incertezza sul numero di strati di abbigliamento con cui ci dobbiamo rivestire per potere comunque affrontare i rigori dei 4000 per il giorno successivo. Ognuna interpreta la cosa a modo suo e qualcuno anche troppo audacemente - laura infatti adotta uno stile “reginetta di capri”: canottiera tipo mare, soprabito leggero (perché, si sa, la sera può rinfrescare) e ciabattina ramponabile – conclusione: le dovremo prestare tutto. Io invece, con grande rammarico, rinuncio allo smoking da sfoggiare per cena. Siamo gli ultimi a lasciare il parcheggio; cerchiamo però di accelerare e superiamo qualcuno lungo il sentiero (una coppia di tedeschi ultra-ottantenni); Belli i camosci che ci seguono (si sospetta conmunque che siano delle comparse pagate dai gestori del rifugio). Eccoci adesso all’elegantissimo rifugio Vittorio Emanuele, ci accoglie il Porter in livrea che viene a prenderci il trolley e ci offre un cocktail di benvenuto (…o forse mi sto confondendo con un altro viaggio). Dal rifugio si gode un panorama dominato dal Ciarforon, mentre non è assolutamente visibile la vetta del Gran Paradiso (e, per via della nebbia, non lo sarà neanche l’indomani quando ci saremo proprio sopra). Io e Domenico decidiamo di sacrificarci e prendere una stanza cubicolo da dividere con altri due ospiti misteriosi – siamo certi , infatti, di trovare due ragazze svedesi con il mito del maschio latino - ovviamente ci va male ed al ritorno dalla cena troveremo due cosi (non abbiamo capito bene né sesso, né età, né genere animale o vegetale), che il giorno dopo inizieranno ad armeggiare con buste, sacchetti ed attrezzatura varia alle 0300. Nel corso della cena, per darci un tono parliamo solo di cose tecniche di montagna; per trovare ispirazione sbirciamo di tanto in tanto il numero di Alp che abbiamo sul tavolo. L’accento non propriamente nordico ci tradisce subito ed iniziano a guardarci male. L’ascesa – Atto Secondo dal Rifugio alla vetta, dislivello m. 1330 Dopo 4 ore di sonno agitato, suonano le sveglie. Caracolliamo giù per il primo turno di colazione: scopro che non servono la “american breakfast” ma solo la colazione continentale – mi mancheranno molto le uova strapazzate ed il bacon Ci facciamo belli e partiamo (di nuovo per ultimi) alle 0430. Inizia la risalita del versante ovest del "gigante solitario" Alla luce delle frontali (ovvero le lampade) ci infiliamo in una fitta coltre di nebbia (ne usciremo solo qualche ora dopo) destinazione vetta a 4061 mt, ci mancano solo 1300 mt di dislivello. Imbocchiamo un sentiero alle spalle del rifugio che, dirigendosi verso nord, si perde (e quasi ci perdiamo anche noi) in una pietraia attreversata da piccoli ruscelli: subito carlo infanga i suoi nuovi scarponi da 8000, io inciampo in un ometto e lo abbatto (causando chi sa a quanti altri colleghi dopo di me lo smarrimento del sentiero), Laura, che non la ferma + nessuno, nel tentativo di superare una cordata rivale davanti a noi, imbocca subito un falso sentiero ripidissimo (forse le ricorda quello che porta ai faraglioni di Capri). Comincia subito a tuonare e dopo meno di 15 min comincia, come da previsione meteo, un temporale cosiddetto di calore (che poi faceva un freddo che ti si congelava il posteriore): un pensiero seccante si fa strada nelle ns menti “ma chi me lo ha fatto fare ???” Dopo meno di un’ora cominciamo ad incontrare i primi colleghi che battono in ritirata: noi andiamo avanti impassibili. Attraversata la pietraia arriviamo alla base del ghiacciaio che scende dalla vetta del Gran Paradiso, dove ci leghiamo (o meglio veniamo legati e costretti a sperimentare nuove tecniche di assicurazione, tra cui il temibilissimo nodo a palla) , la nebbia si fa sempre + fitta e si inizano a battere i denti per il freddo – a questo punto siamo tutti abbastanza convinti che si dovrà tornare indietro. Altri due tizi, emergono come fantasmi dalla nebbia, dichiarando di essere finiti almeno un paio di volte nei crepacci (forse sono veramente dei fantasmi !!!): tornano anche loro indietro. Noi per dispetto andiamo avanti. Incontriamo un altro tizio che sembra ubriaco ed ha perso il suo amico e ci chiede informazioni – noi gli diciamo di andare sempre dritto che tanto non si può sbagliare (un po’ come a via del corso). Si continua a camminare: a 3500 il “chi me lo ha fatto fare ?” si trasforma in “porco qua e porco la, ma chi c….zo me lo ha fatto fare; e ho pure pagato per venire !!!!” Dopo altre 3 ore, camminando con l’insidia sempre presente dei crepacci, la nebbia inizia a diradarsi ed ecco per un istante comparire la cima e qualche altro collega appollaiato sulla vetta. Ritorna immediatamente la nebbia, ma ormai la madonnina è a portata di mano: per raggiungerla superiamo il crepaccio terminale (attraverso un cosiddetto ponte di neve che a volte tiene ed a volte no) e con grande eleganza superiamo su roccia anche un passaggio a strapiombo sul ghiacciaio della Tribolazione (600 metri di salto). Finalmente arriviamo in vetta. Ci mangiamo il nostro meritato panino con la frittata e veniamo ricompensati da 30’’ di panorama mozzafiato. In vetta quel giorno sono arrivate solo tre cordate: 10 minuti di autocompiacimento stile “quanto siamo fichi, quanto siamo belli” e poi giù di corsa (si fa per modo di dire). La discesa – Atto Terzo Pochi eventi da registrare: · io che scendo utilizzando la culoferica – che tanto è gratuita · enrico che viene giù dal ghiacciaio scordandosi un pezzo di gamba 20 mt + su · carlo che chiede se enrico è tesserato cai perché altrimenti dobbiamo pagare l’elicottero Introduzione Lunedi 16 giugno ’03 ore 01.30, La Rustica Parcheggio della Metro, Roma Reduci dai grandi successi
dell’ascesa al gigante solitario erano tutti pronti per nuove sfide….. I protagonisti I maestri: carlo ed ulisse I peruviani (o forse sarebbe meglio definirli i portoghesi): laura e domenico I regolari: io ed enrico Le svedesi |